giovedì 21 ottobre 2010

Il vuoto, lo spazio

Quel che uno vorrebbe per se è il meglio, dicono. E quando c'hai vent'anni, il pieno delle forze, tutte le strade aperte, tutte le città del mondo disponibili, tutti i fogli bianchi come vuoi tu, può succedere di incorrere - se davvero sei convinto che quello seduto affianco a te non sia il tuo ego - in ansia da prestazione. Chiaro che se hai tutte le possibilità in ballo, cazzo se non ce la fai a diventare quello che vuoi, allora hai toppato brother. Dovrebbe essere la post-modernità, se non sbaglio.
È un discorso che mi era sempre suonato distante dal mattino che ti sveglia, dal cibo sulla tavola, da un bacio da cercare. Lontano dalla quotidianità. Tornano a spiegarmelo due righe facili facili, via internet dai luoghi dove nel frattempo la rivolta infiamma il cuore d'Europa: il tuo malessere -quotidiano- era facile facile. Si tratta di riempire i vuoti: pensi sia altrettanto facile? Su questo ho dei dubbi, quello di cui son quasi sicuro è che non li riempirò per l'ansia di vederli vuoti, perchè l'immagine sia ben colorata fino ai bordi; l'immagine finale sarà fatta anche di vuoti, di cose non fatte, di passioni non alimentate, di storie non vissute, che non saranno per forza rimpianti. Ma gli spazi pieni saranno riempiti davvero, con un tratto netto e coi colori che decido io.


Nel frattempo sono passati due mesi a Santiago, e ancora certe cose non passano e ancora certe cose non tornano.

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