mercoledì 24 novembre 2010

The Show Must Go On


Le maschere cambiano, i pagliacci restano

«Dal 1989 in Italia, non viene lanciata una bottiglia Molotov (se non da bande del tifo organizzato). E da un decennio, in Italia, non si verificano scontri di piazza paragonabili, per intensità di violenza, a quelli degli anni ’70. Ci sono, piuttosto, rappresentazioni di battaglie di strada e scontri simulati. Spesso, queste performances belliche – grazie alla raffigurazione fotografica o televisiva – sono apparse come vere. Ma, a parte rare eccezioni, si è trattato esclusivamente di rappresentazioni. Posso dirlo perché ho partecipato ad alcune di esse – mi riferisco agli ultimi cinque anni e non al decennio 1967-1977 – con ruoli diversi, ma tutti relativamente a un’attività qualificabile come di mediazione: prima e durante le manifestazioni.

Le "tute bianche” e quei settori di manifestanti che partecipano ai cortei con una “attrezzatura di autodifesa”, che esercitano una pressione fisica e ricorrono all’uso controllato della forza, svolgono un ruolo ambiguo. Ma è un ruolo, a mio avviso, positivamente ambiguo. Offre a quell’aggressività di cui si diceva [i movimenti sociali, aveva detto Manconi, sono portatori – oltre che di valori e di fini – di una carica di aggressività che è il segno del loro “antagonismo”], un canale in cui esprimersi e, insieme, uno schema (rituale e agonistico) che l’amministra. Propone uno sbocco – e, dunque, in qualche misura rischia di incentivare la violenza – ma esercita un controllo e pone (tenta di porre) limiti. L’attività delle “tute bianche” è, dunque, letteralmente, un esercizio sportivo (e lo sport è, classicamente, la prosecuzione e la codificazione della guerra con mezzi incruenti), che depotenzia e disinnesca la violenza: perlomeno, la gran parte di essa. Certo, questo presuppone un’idea delle violenza di piazza come una sorta di flusso prevedibile, indirizzabile, controllabile: ma è proprio in questi termini che viene trattata da numerosi responsabili dell’ordine pubblico e da molti leader di movimento.

Un anno e mezzo fa nel corso di una riunione nella prefettura di una città del Nord, i responsabili dell’ordine pubblico e alcuni leader di movimento discussero puntigliosamente e, infine, convennero minuziosamente – oltre che sul tragitto – sulla destinazione finale del corteo. E ci si accordò sul fatto che vi fosse un punto, segnalato da un numero civico, raggiungibile col consenso delle forze dell’ordine, e un altro punto, segnalato da un numero successivo, non “consentito” ma tollerato. Lo spazio tra i due successivi limiti – un centinaio di metri – fu, poi, il “campo di battaglia” di uno scontro totalmente incruento e pressoché interamente simulato (ma tale non apparve nelle riprese televisive) tra manifestanti e polizia.»

deputato dei Verdi, Luigi Manconi - in un articolo comparso su “La Repubblica” il 14 luglio 2001
[testo rubato qui ]
 

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